TREVISO, LI SETTEMBRE 2019

(Il bilancio in pareggio non esclude una situazione di sofferenza, se questa emerge dalla ricostruzione operata dagli organi fallimentari)

Il curatore del fallimento può azionare la revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2901 c.c., avverso l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, posto in essere dall’ex amministratore della società in un momento di molto antecedente alla dichiarazione di fallimento della stessa e in cui i bilanci non mostravano segni di sofferenza della società.

Si è pronunciata in questi termini la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22157, depositata l’altro ieri.

Sul punto, è opportuno ricordare che l’azione revocatoria di un atto a titolo gratuito (sulla natura gratuita dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, si vedano Cass. n. 7250/2013 e, recentemente, Cass. n. 9798/2019) può essere esercitata in presenza dei seguenti requisiti, previsti dall’art. 2901 c.c.:

– la sussistenza di un rapporto di debito-credito tra le parti;

– il pregiudizio che l’atto che si vuole revocare possa causare alle ragioni del creditore (“eventus damni”);

  • la consapevolezza del debitore circa il carattere pregiudizievole dell’atto da realizzare, che di fatto riduce la garanzia prestata dal debitore ai creditori con il proprio patrimonio (“scientia damni”).

La Suprema Corte ha statuito su tale ultimo requisito, affermando, in primo luogo, che i dati di bilancio relativi al periodo in cui è stato costituito il fondo patrimoniale possono non essere affidabili se è dimostrata una situazione patrimoniale divergente da quella prospettata; in secondo luogo, che la prova della scientia damni può essere data anche per presunzioni (nel caso di specie ricavate da paralleli giudizi).

Innanzitutto, se è vero che il bilancio di esercizio è strumento idoneo a effettuare valutazioni circa il momento di emersione dell’insufficienza patrimoniale, tuttavia è anche vero che la differente ricostruzione operata dagli organi fallimentari può condurre a ritenere non attendibili i dati dei bilancio riferibili a esercizi antecedenti alla dichiarazione di fallimento.

Il fatto che il bilancio della società non mostrasse segni di sofferenza (il fondo patrimoniale era stato costituito nel 2004 e i bilanci erano in pareggio fino al 2005) non esclude le difficoltà economiche della società e la consapevolezza dell’amministratore di sottrarre parte della garanzia ai creditori con la costituzione del fondo patrimoniale.

Dunque, se la situazione patrimoniale ricostruita in sede fallimentare è più realistica di quella risultante dal bilancio, non potrà guardarsi solo alla data in cui formalmente è emersa l’insufficienza patrimoniale della società, bensì occorrerà considerare il momento in cui, in concreto, si è verificata la perdita della garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio sociale (o il rischio di perdita ai sensi dell’art. 2901 c.c.).

La prova delle passività può desumersi anche da altri giudizi

Quanto al dato probatorio, la Cassazione ha ritenuto che la prova del fatto che già al tempo della costituzione del fondo sussistevano delle passività è ricavabile anche da paralleli giudizi intervenuti tra le stesse parti, pur non ancora definiti (in particolare, il procedimento penale per il reato di bancarotta e l’azione sociale di responsabilità civile verso l’amministratore).

Da questi, in particolare, era emersa la mala gestio dell’amministratore nel periodo dal 2002 al 2006, nonché, a seguito dell opportune rettifiche contabili effettuate dalla curatela fallimentare, una situazione patrimoniale e finanziaria della società al tempo della costituzione del fondo che già esponeva l’amministratore al rischio di subire l’azione sociale di responsabilità.

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